Santa Greca. La festa di settembre
Il documentario esordisce proponendo immagini e dipinti che narrano la storia di Santa Greca e voci fuori campo di donne raccontano, sovrapponendosi, la famosa leggenda che da secoli richiama a Decimomannu tanti fedeli e devoti. Una voce narrante racconta -mentre scorrono sullo schermo le parole tratte da uno scritto di Giovanni Spano del 1876- la storia della santa e del paese, della festa popolare e religiosa, dei risvolti sociali e della tradizione. Le immagini ci riportano immediatamente a Decimomannu, è venerdì e la gente del paese si accinge a preparare il cocchio e le luci per la festa: la santa attende nel suo altare. La signora Greca, chiamata così in onore della patrona, racconta, mentre lavora all'uncinetto, della volta in cui, ancora bambina, la vide piangere dal pulpito. Ma la festa è anche un momento di svago e divertimento per tutto il paese che, attraverso vecchi ricordi -le giostre un tempo trainate da asinelli bianchi e i bimbi che spendevano i loro risparmi per acquistare noccioline e non per i divertimenti-, lega il sacro al profano. Come le immagini della santa e delle giostre colorate si frappongo tra loro anche il racconto narrativo ripercorre -attraverso la voce narrante- la vita della martire e -con i ricordi dei più anziani- gli eventi profani più curiosi. La chiesetta è illuminata e la gente si è riunita per la festa inaugurata dai cantori che celebrano la santa. Le numerose bancarelle, che offrono artigianato, candele e dolciumi, son prese d'assalto ma la gente si accalca soprattutto davanti alla santa per pregarla e baciarla. I malloreddus e tante altre bontà tipiche sfamano i numerosi devoti e curiosi accorsi all'evento. Ha inizio la processione, i cori si spiegano per la santa e la gente segue silenziosa il cocchio portato in giro per tutto il paese. "L'incontro -racconta un uomo- deve essere qualcosa di sentito. Solo così riesce bene!"-Si seguono i soliti rituali e la commozione è sempre molto sentita, le campane suonano a festa, e l'intensità religiosa è eminente. I colori della festa e della tradizione, dei costumi e delle genti arrivate da tutta l'isola, dalle luci sfavillanti delle giostre, dei palloncini e delle bandierine, si fondono anche con la modernità dei balli in piazza offerti dai giovani mentre la santa trova riposo tra le sue mura. Arriva la domenica e si aspetta l'apertura della chiesa dalle prime luci dell'alba. L'ansia e la curiosità traspaiono da i volti dei visitatori, i pulman e le auto riempiono i parcheggi. La parte sotterranea della chiesa è aperta al pubblico che con le offerte la omaggeranno come da tradizione se pur con doni che non consistono più in bestiame e alimentari come avveniva in passato. Le immagini sfumano sul finire nella leggenda -narrata da Carlo A. Borghi- di Boixè, Burricchè e Cuaddè che miracolati e scampati al cruentissimo scontro del 1324, grazie alla Santa, si racconta -da chi ha avuto la fortuna di incontrarli- sappiano parlare in sardo, in latino, in spagnolo e romano e abbiamo potuto assistere ai sette secoli di storia sarda.