Le Launeddas

Le launeddas sono degli antichissimi strumenti musicali a fiato in uso in Sardegna. Non si conosce l'esatta etimologia del nome, lo strumento assume nomi differenti a seconda dei diversi paesi, "truveddas" nella Planargia, "bìdulas" a Ovodda, "venas" nel centro dell'isola. Il film mostra la costruzione dello strumento musicale con relativa spiegazione dell'artigiano, il signor Luigi Pibiri, che le costruisce e suona con grande maestria. Lo speaker racconta la storia dello strumento, attraverso le testimonianze storiche, archeologiche e letterarie. Le launeddas sono composte di tre tubi di differente diametro. La canna lunga, detta tumbu e la centrale, mancosa o mancosa manna, sono legate insieme con lo spago intrecciato e vengono chiamate sa croba; la terza canna, chiamata mancosedda o destrina, è libera. Le canne raccolte nella Giara di Gesturi, si tagliano almeno un anno prima. Inizia la costruzione de su tumbu. La canna secca si buca e si pulisce con cura, la si scalda sul fuoco per raddrizzarla. Si prendono le misure esatte da un altro strumento. Perché l'estremità non si spacchi, la si lega con lo spago intrecciato, attraverso una tecnica particolare. Su tumbu è composto di due segmenti di canna infilati uno dentro l'altro, finiti gli avvolgimenti fitti intorno alla canna, si unisce un altro pezzo di canna. Sa mancosa si lavora nello stesso modo. La diversa lunghezza e il diametro e l'apertura dei fori, stabiliscono la varietà dei toni. Lo speaker elenca alcune delle molteplici varietà possibili. Le canne sono formate tutte da tre parti, sa cabitzinna, o bocchino, il tubo risonatore, o calamo. Sa cabitzinna è una canna sottile dove si pratica un'incisione rivolta all'ingiù, chiamata ancia, linguatza in campidanese. Il bocchino de su tumbu è più lungo e ha il diametro maggiore. Per accordare il suono, si prende un pezzettino di cera vergine d'api, la si ammorbidisce tra le dita e la si fa aderire all'estremità inferiore dell'ancia. Spostando lo spessore della cera, si aumenta o si diminuisce il numero delle vibrazioni dell'ancia, modificando così le variazioni di tonalità della canna. Si passa poi alla lavorazione de sa mancosedda. Conclusa la preparazione dello strumento, possiamo ascoltare l'armonia de sas launeddas nell'esecuzione de su dillu. La più antica testimonianza di questo strumento risale all'età nuragica, con il bronzetto chiamato "aulete nudo epifanico", ritrovato ad Ittiri ed esposto nel Museo Archeologico di Cagliari; sempre nello stesso museo è custodita una ceramica punica che rappresenta un suonatore di launeddas. Nelle catacombe di Sant'Antioco è presente un bassorilievo, d'epoca bizantina, raffigurante Gesù che suona il doppio flauto. Nel 1773, il cappellano del reggimento tedesco, Giuseppe Fuos, descrive in tredici lettere le usanze della Sardegna che maggiormente lo colpirono, nella quarta lettera descrive le danze e gli strumenti che le accompagnano. Alberto De La Marmora, nel libro "Viaggio in Sardegna" descrive le launeddas come composte da due, spesso di tre, e talvolta quattro, canne.

Iniziativa a cura del Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda