Barbagia cuore di Sardegna

Il film si apre con immagini rappresentative della Barbagia: sos mamutones di Mamoiada, le maschere del Carnevale di Ovodda, volti imbrattati di carbone in occasione dei fuochi di Sant'Antonio e San Giovanni e i murales. La Barbagia fu chiamata dai Romani civitas barbariae, ovvero civiltà di barbari. Con quest'espressione essi indicavano i sardi pelliti che avevano opposto resistenza alle loro legioni. La zona interna della Sardegna è infatti sempre stata diffidente verso coloro che arrivano dall'esterno, come esplicita il detto: furat ki enit ´a su mare (ruba chi viene dal mare). Qui tutto, anche la 'modernità', ha avuto bisogno di tempi lunghi per essere accettato. I miti della balentìa e della bardana resistono ancora. Se da un lato gli elementi della propria cultura vengono conservati, allo stesso tempo si è dovuto imparare a convivere coi ritmi degli uffici e della fabbrica. Questi rappresentano infatti l'imposizione di un nuovo modello di sopravvivenza. I giovani ancora mantengono le tradizioni legate alla terra, all'acqua e al fuoco (ne sono esempio i Carnevali), ma ciò che più attendono è lo sblocco della crisi occupazionale. Tuttavia, le ultime inquadrature dei murales testimoniano che la resistenza del popolo barbaricino continua ancor oggi, nonostante i problemi irrisolti delle terre, dei pascoli e delle "fabbriche cattedrali nel deserto" (Ottana).

Iniziativa a cura del Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda