La Trincea

La trincea è il racconto sceneggiato di Giuseppe Dessì sulla conquista della trincea dei razzi nel novembre del 1915, durante la Prima Guerra Mondiale. Lo speaker racconta la situazione dei soldati, indeboliti dalle dure condizioni della guerra di trincea e provati dal gelido inverno del Carso. La trincea italiana è comandata dal villacidrese Dessì, comandante che si preoccupa delle condizioni dei suoi uomini e accusa lo stato maggiore di mandare ufficiali anziché rinforzi, solo per convincerli che gli ordini superiori siano giusti e offre filu'e ferru, l'acquavite sarda, ai nuovi arrivati. Dessì riceve la visita del colonnello, amico di sempre, che gli annuncia che il prossimo tentativo, il quindicesimo, di espugnazione della trincea sarà effettuato proprio da Dessì e dai suoi uomini. Il maggiore spiega al colonnello come gli ordini dei superiori siano pura teoria applicata male, il nuovo tentativo fallirà come gli altri e i suoi uomini andranno inutilmente ad aggiungersi alle migliaia di morti della trincea. Ma Dessì ha un piano. Nella trincea, fatta di pali di ferro piantati sul cemento, che resiste ai continui attacchi dell'artiglieria, ci sono dei piccoli passaggi non adatti alle truppe che verrebbero bloccate dal fuoco nemico, ma pochi uomini strisciando in silenzio potrebbero entrare nella trincea, aprendo il passaggio agli altri. Dessì chiede completa libertà d'azione, vuole tentare l'assalto lui e la sua gente e nessun altro. I miei soldati, i miei ladri di pecore, dice Dessì, sono bravi. Non muoiono gridando viva l'Italia, ma sanno uccidere e sanno morire. Resistono alla fame e alla sete, sanno stare zitti e immobili, sanno strisciare e si mimetizzano con la campagna circostante, ma questo a seconda delle ore e del tempo. Il colonnello riesce a convincere il comando a lasciare libertà d'azione a Dessì e così il maggiore può discutere con i suoi uomini il piano. Attaccheranno con la luna nuova, nella notte più buia del mese, dieci minuti dopo il cambio degli austriaci. I nuovi arrivati, stanchi dalla lunga marcia notturna e non conoscendo la trincea, saranno più facilmente sconfitti. Dessì chiede dei sigari toscani. I sardi, infatti, hanno l'abitudine di fumare con il fuoco dentro, arrivati nella trincea, con questi potranno accendere la gelatina. Si predispongono i preparativi per l'assalto e la notte prescelta arriva. Nella trincea si finge tranquillità, un soldato sardo canta, come tutti le notti, a tenore, gli altri tossiscono. La voce fuori campo di un soldato racconta l'assalto con qualche parola in campidanese. I soldati sono fuori dalla trincea, immobili. Nei reticolati non passa neanche il diavolo, afferma lo speaker, ma solo le formiche. E come formiche, i soldati sardi riescono a penetrare nella trincea nemica, sono tanti, eppure non si sente un soffio. Al silenzio di ognuno è affidata la vita di tutti gli altri. La battaglia è vinta, la trincea è presa. Dessì stringe la mano del comandante nemico.

Iniziativa a cura del Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda