Grado zero

Una madre avverte il figlio di andare subito a scuola, perché ha davanti a sé un grande futuro. Il bambino, per strada, vede dei ragazzini che giocano a palla, li guarda e non si unisce a loro. Il ragazzo, ormai grande, va a Roma, con un desiderio, anzi un sogno: costruire architettura viva, in una città, che offre solo architettura morta. Il suo primo incontro con la capitale è abbastanza deludente. L'amica che lo ospita per un po', non ha tempo da dedicargli, gli dà veloci informazioni, senza prestargli la minima attenzione. All'università, non va meglio. Gli studenti fanno quasi a botte per entrare in aula. Pancrazio, questo è il nome del ragazzo, va in bagno, dove conosce Onofrio, che gli racconta l'università dal punto di vista delle file, in segreteria e in mensa. Pancrazio si sente solo, guarda la tv, prima di portare il suo lavoro al professore, che, nonostante sia fatto bene, gli corregge la posposizione dei numeri. Sfondo nero, un uomo fa un discorso al ragazzo di roussoviana memoria. Si pretende di tormentare l'infelice per il suo bene, per prepararlo ad un presunto futuro di felicità, così facendo si sollecita la morte. La colpa non è solo dei governi o delle leggi, ma delle stesse arti, che soffocano il sentimento di libertà, per cui l'uomo sembrava nato. Forse sarebbe meglio vivere liberi. Si tratta di arrivare al grado zero. Pancrazio, uscendo dall'edificio, vede dei ragazzi che giocano, nel giardino dell'università, a calcio con una palla di stracci. Mentre la palla sta arrivando verso di lui, ricorda quando da bambino ha lasciato che la palla scorresse via, ubbidendo alla madre. Questa volta, prende la palla e inizia a giocare con gli altri ragazzi, in quello che per lui è il primo momento di socialità. I ragazzi giocano, altri suonano i bonghetti.

Iniziativa a cura del Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda