Il pane d'orzo. Il ciclo della panificazione dell'orzo a Fonni

Il pane d’orzo ha costituito per secoli, e forse per millenni, l’alimento base per le popolazioni della Sardegna, l’orzo forniva, infatti, un pane di lunga durata e poco ingombro, adatto per la vita nomade del pastore. Viene perciò associato ad un passato di povertà e di precarietà. Negli anni cinquanta è cessato l’uso, ormai ristretto solo alle zone interne della Barbagia. Il film mostra le diverse fasi della lavorazione, che impegna le donne per diversi giorni. Il sottofondo originale permette di sentire il parlato in sardo delle donne di Fonni, che parlano e cantano durante la cottura, lo speaker spiega le diverse fasi della lavorazione del pane. Sono presenti i sottotitoli in italiano e in lingua sarda, nella variante barbaricina, che indicano i nomi dei diversi processi. La prima operazione è la molitura, di cui il film mostra alcune sequenze. Sino agli anni quaranta la molitura avveniva nei mulini ad acqua, oggi è ancora in attività solo il mulino di Scano Montiferro, grazie alla passione dell’ultimo mugnaio, su mulinalzu. Fonni è un centro pastorale della Barbagia, di cui possiamo vedere alcuni scorci. Grazie alla memoria delle donne è stato possibile ricostruire l’intero ciclo della panificazione, che ha inizio con la setacciatura, a isgranjare. La raffinazione della farina è molto accurata, le operazioni, fatte con gli strumenti antichi, sono ripetute più volte e permettono di separare la crusca, dalla farina. Con la seconda fase di setacciatura, detta a sedatzare, si separa la farina dal composto di cruschello e semola; con la fase detta a ‘errere si separa la semola dal cruschello. L’orzo è chiamato orju, la semola d’orzo e il pane, orjatu. Un paio di giorni prima della panificazione si confeziona il lievito, su imisone, impastando la farina d’orzo e cocendo il pane ottenuto nel forno ben caldo, ma spento, per 24 ore, in modo che l’interno del pane resti morbido e cremoso. Il pane così ottenuto si conserva nei teli di lana, così che si perfezionino le sue proprietà di fermento. Segue l’impasto e la prima lavorazione, detta a lu ponnere. Il giorno prima della panificazione, il lievito, su imisone, viene sbriciolato nell’acqua destinata alla lavorazione della semola. Si procede a impastare la pasta: a lu ponnere, a intrutare. Diverse donne impastano la semola con l’acqua che contiene il lievito, si mette lievitare, a imboniare, la pasta ottenuta in un recipiente di sughero. A lu ponnere, pane postu. Il segno augurale della croce che viene tracciato con le dita sulla pasta ha una funzione pratica, la sua scomparsa indica l’avvenuta lievitazione, che può avvenire in una notte o più giorni. Ha inizio la seconda lavorazione, detta a lu fakere. Le donne lavorano la pasta inginocchiate su un piano di legno con i bordi rialzati. Sa tipe è il pane che contiene un’alta percentuale di crusca, era destinato ai cani, ma veniva dato anche ai servi, ma non ai servi pastori. Dopo la seconda lievitazione, ha inizio la fase detta  a lu fakere: a acucare, l’impasto viene diviso in pani, da ciascun pane si ricava una spianata. Tendere: si modella il pane per la cottura. C’è una nuova divisione dei compiti concatenati, il forno acquista rilievo. Sa cumentzadora è la donna che fa la prima modellazione del pane, s’acabadora modella meglio la pasta, s’inforradora è l’addetta alla cottura, compito più delicato, s’aressadora completa il lavoro, ricavando da una spianata due sfoglie sottili. Il pane ha forma rettangolare o rotonda, i pani vengono cotti uno per volta. Infine, le sfoglie ormai fredde vengono rimesse nel forno per una rapida biscottatura, che elimina l’umidità, così possono essere conservate per molti mesi.

Iniziativa a cura del Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda