Pastori di Orgosolo

Una didascalia apre il film: "Questo è il Sopramonte (sic) di Orgosolo, in Sardegna, un tempo rifugio di latitanti e di banditi. In questa pietraia desolata, oggi, pochi pastori contendono al freddo ed alla fame l'esistenza delle proprie greggi". Sullo sfondo un pastore cammina veloce su un terreno scosceso, la macchina da presa lo segue con una lenta panoramica. Non ci sono voci o musica, solo rumori d'ambiente e le urla e i fischi che l'uomo lancia per controllare i gregge. Entrano in campo le pecore e vediamo ovili poveri e i pastori che mungono. Altri pastori appaiono ma anche quando stanno fra di loro, a sottolineare una solitudine insita in quel mestiere, non c'è parola, le uniche voci si sentono quando si chiamano gli animali per la mungitura o per guidarli. Capre e capretti. La vita del pastore è desolata e si svolge in una dimensione quasi mitica, pochi gesti precisi per fare il formaggio nella pinnetta o per tagliare le frasche per il fuoco durante una tempesta di neve, o ancora per preparare il pasto nell'ovile. La vita è dura come la natura che sta intorno e anche alla sera quando ci si trova nell'ovile non c'è allegria né spazio per le parole. Il film è privo assolutamente di parlato e di musiche ed è girato con una fotografia a colori tanto sfumata da sembrare quasi in bianco e nero.

Iniziativa a cura del Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda